Storia Di Ordinaria Agenzia

Pioggia battente, non si riesce a vedere un accidente di niente dal finestrino della macchina, eppure ci devo andare al maledetto appuntamento. Forse la vendo questa casa. Terza visita, quella definitiva. Mi scade il mandato… devo pensare positivo; i clienti sembravano soddisfatti di questo bilocale, secondo piano, ben esposto al sole, appena ristrutturato. Comincio a pensare come un annuncio, dopo vent’anni forse sarebbe il caso di mollare. E che faccio? Cosa mi invento? Non lo lascio quest’osso succulento, c’è ancora molto da succhiare. Concentrati sulla persuasione, sei ancora il migliore in questo, no? Ho studiato le possibilità del mutuo, come rivendere il loro vecchio immobile, come raccontare che il bambino si può facilmente accomodare con una soluzione “Ikea”. Ho fatto il mio dovere. Più del mio dovere a ben guardare.

E prima volevano un trilocale in centro, e allora via, in giro per appartamenti che, non prendiamoci in giro, sapevamo tutti essere fuori dalla loro portata. E poi rinunciamo al centro, sì meglio fuori, fuori dal casino. E alla fine abbandoniamo anche l’idea del trilocale. Il mio dovere, dicevo, il mio dovere a volte non basta. Mi accendo una sigaretta, mi aiuta a pensare. Al semaforo l’occhio mi cade su quel “vendesi” marchiato, omologato direi. Sotto il cartello un pivello sta aspettando nervoso. Ce li ho alle calcagna, me li sogno di notte quei burattini in completo che tampinano, tampinano, tampinano per avere la loro pidocchiosa quota. Perché per loro questo rimane, una quota, una misera percentuale per tirare a fine mese, non guardano oltre il loro naso. Corteggiano il mio cliente prima, durante, dopo.

Lotta per la sopravvivenza, selezione naturale ma da soli è difficile resistere. Facessero a loro i conti in tasca: ecco, ne hanno aperto un altro, stessa insegna, stessa vetrina. Un altro concorrente, no, no, gli ipermercati degli immobili non sono miei concorrenti. Come si dice, una catena, e quelli sono proprio una catena che ti lega. A me piace giocare da battitore libero, non sono fatto per le catene io. Eppure al cliente rimangono nell’orecchio quelle parole imparate a memoria, la cantilena di chi ha studiato il manuale… Ma forse sui manuali dovrei aggiornarmi, così giusto qualcosa, un’infarinatura generale di computer, marketing, roba così.

Semaforo rosso, l’occhio mi cade su una rivista di annunci abbandonata sul sedile. Eh no, quell’attico è nella mia zona, come ha fatto a sfuggirmi? Si illumina il cellulare, ancora uno di quei tafanatori commerciali. Compra lo spazio, il modulo, la mezza pagina, pianifichiamo le uscite da qui a un anno, così ti raccontano gli ambulanti dell’immobiliare. Lo so lo so, i soldi per la pubblicità sono un investimento, come li vendo se no gli immobili? Facciamo duemila annunci a giornale, una decina di giornali, un totale di ventimila annunci, io ne faccio dieci, dieci per dieci cento. No, non posso giocarmela sui numeri. E allora perché dovrebbe spiccare il mio nome, un nome qualsiasi. Perché sono il migliore. Ma sono anche stanco. Eppure so che non mollo.

Macchine abbandonate in terza fila, mai un dannato parcheggio, se comprano, quelli come faranno senza il box? Ragiona, oggi te lo fanno notare sicuramente. In anticipo, brutto segno, devo avere più appuntamenti. Scendo a fumare, non voglio appestare questa meraviglia appena comprata. Odore di pollo, sette e mezza, troppo presto per me. Il pollo speziato alle mandorle di ieri… il mio migliore amico si separa dalla moglie e la prima cosa che mi è venuta in mente è stata dovranno piazzare la casa e, subito dopo, ma la commissione gliela faccio pagare. Speriamo solo che non me la metta giù come se fosse un favore, perché poi per me sono solo rogne. Quello che la gente dice di noi è vero allora. No no, solo deformazione professionale, eppure un tempo pensavo di meno ai soldi. Un tempo era più semplice farli.

Trilocale, appena ristrutturato, zona centrale, si venderebbe facile, non è la mia zona ma è un mio affare, non ci posso rinunciare, non ci voglio rinunciare. È vero, non ho ancora perso il mio fiuto. Sono un cane da caccia. Lo sento nell’aria l’affare, poi con il muso a terra ne seguo le tracce. Si è mai visto un segugio dividere una preda con un altro? A volte l’addestramento si può cambiare. Se solo fossi un po’ meno sospettoso potrei pensare di collaborare… Alla fine non mi si chiede di credere alle favole, no? Se oggi la preda è sua, domani sarà mia, è mia. Qui nessuno vuole che il giocattolo si rompa…

Dal bar di fianco al palazzo odore di caffè. Nero per me ma non adesso. Venerdì sera, e domani mi tocca ancora la strada. Mentre la mia vetrina offre soluzioni abitative io per tutti continuo ad essere un venditore di case. Macinare chilometri per una casa che sì, io ci provo a vendere, ma se ci fosse un modo di guadagnarci, di risparmiare tempo… E poi le scarpe infangate dei nuovi cantieri che nascono come funghi e crescono lenti, la polvere degli scaffali dai contratti da registrare, e prima l’antiriciclaggio e poi il nuovo decreto. Mai che ti vengano incontro questi, sempre a complicarti le cose. Non si lavora più come una volta.

Mi guardo riflesso nello specchietto retrovisore. Due gocce di collirio per occhio, un moment e il mal di testa mi sembra già passato. Mi attacco al telefono, controllo i messaggi in segreteria. Mi hanno scaricato in ufficio la nuova suoneria che mi avvisa del prossimo appuntamento, del compleanno di mia figlia, di cosa dovrò sborsare a fine anno e dei vestiti in tintoria che sono ancora da ritirare. Poverina non poteva andare lei, lei è andata in piscina…Ma questa sera se va bene festeggio io. Ultimo tiro di sigaretta, la butto, metto in bocca un chewingum, uno…due…tre…, lo sputo, sorriso smagliante, mi allaccio la giacca. Ho perso il distintivo, mi rimangono solo le mie chiacchiere, sono le mie armi, ho pronto il colpo in canna “Buona sera…” e speriamo di fare centro…

Sì, stasera stappo e offro il giro.

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